エピソード

  • Angelo Vassallo: il sindaco dimenticato in una storia così tanto italiana
    2024/11/08
    Ma chi se lo ricorda più Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica assassinato oltre quattordici anni fa? Per mesi la sua morte ha occupato le pagine dei giornali sotto il marchio del “sindaco pescatore”, con quella tendenza a romanticizzare gli omicidi che piace tanto a certa stampa. Poi, il silenzio.
    Ieri, su richiesta del pm di Salerno Marco Colamonici e del procuratore capo Giuseppe Borrelli, sono state emesse quattro ordinanze di arresto per l’omicidio del 5 settembre 2010. Tra gli arrestati ci sono il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo e l’imprenditore Giuseppe Cipriano, detto ‘Peppe Odeon’, proprietario di una sala cinematografica a Scafati.
    Secondo la Procura, Vassallo fu ucciso perché voleva denunciare un traffico di droga intorno al porto di Acciaroli, organizzato dal clan camorrista Fucito con la complicità di carabinieri infedeli e imprenditori. Aveva fissato un appuntamento con un ufficiale della compagnia dei carabinieri di Agropoli per il 6 settembre 2010, un appuntamento a cui non è mai arrivato.
    Il colonnello Cagnazzo, allora in servizio al nucleo investigativo di Castello di Cisterna, scrisse un’informativa che dirottò le indagini su un sospetto brasiliano, Bruno Humberto Damiani, poi archiviato due volte: un depistaggio in piena regola. Cagnazzo si premurò anche di sequestrare i video di una telecamera di sorveglianza sul porto, senza autorizzazione del magistrato.
    Tra gli arrestati ci sono anche il brigadiere Lazzaro Cioffi, già condannato a 15 anni per traffico di droga, e il collaboratore di giustizia Romolo Ridosso. Un bel quadretto di criminalità organizzata e istituzioni deviate. Una storia così tanto italiana

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  • La profezia di Lewis materializzata a Trump
    2024/11/07
    Nel 1935, mentre l'Europa guardava con inquietudine l'ascesa del nazifascismo, Sinclair Lewis decise di raccontare una storia che i suoi contemporanei liquidarono come assurda fantapolitica. "Qui non è possibile", la intitolò. E invece.

    Il romanzo racconta di un senatore americano, Berzelius "Buzz" Windrip, che conquista la presidenza cavalcando il malcontento popolare. La sua tattica è semplice: promette denaro facile (5.000 dollari all'anno a ogni cittadino), si erge a difensore dei "veri americani" e dei loro valori tradizionali, trasforma ogni critica in un attacco alla nazione. Presentandosi come un campione dei valori tradizionali americani, Windrip sconfigge facilmente i suoi avversari.

    Ma non è tanto il personaggio a essere inquietante, quanto il meccanismo che Lewis descrive con chirurgica precisione: l'erosione quotidiana delle istituzioni democratiche, la progressiva normalizzazione dell'inaccettabile, la metamorfosi del dissenso in tradimento. Nel romanzo la maggioranza degli americani approva le misure autoritarie considerandole "passi necessari benché dolorosi". I più scettici si consolano ripetendosi che "qui non è possibile".

    È questa la vera profezia di Lewis: non tanto l'ascesa di un demagogo, quanto la nostra infinita capacità di autoassolverci mentre l'impossibile accade sotto i nostri occhi. Il fascismo, ci mostra, non ha bisogno di camicie nere per manifestarsi. Può presentarsi in giacca e cravatta, parlando di patriottismo e prosperità.

    Rileggere oggi "Qui non è possibile" significa riconoscere, uno dopo l'altro, i segni del nostro tempo: la demonizzazione degli avversari politici, la manipolazione della realtà attraverso la propaganda, la trasformazione del patriottismo in una clava contro il dissenso. D'altronde, cosa c'è di più americano di un uomo d'affari che promette di rendere l'America di nuovo grande?

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  • Il giudice a Vannacci: prima impari le figure retoriche
    2024/11/06
    Quando si ebbe notizia del decreto penale di condanna per diffamazione nei confronti di Pier Luigi Bersani, a causa delle sue dichiarazioni sul generale Vannacci, il leader della Lega Matteo Salvini commentò parlando di “arroganza tipica dei kompagni” (scritto con la "k", come un adolescente) e apostrofò l’ex segretario del Pd come “sinistro”. “Paga Bersani, paga”, twittò Salvini, compiaciuto.
    Eppure, per il giudice di Ravenna, Corrado Schiaretti — secondo quanto riporta il QN — la differenza tra metafora e allegoria può essere notevole e quindi “è evidente che le parole di Bersani non possano essere qualificate come metaforiche”. Vannacci, infatti, avrebbe “confuso la figura retorica della metafora con quella dell’allegoria”, e ci è voluto un giudice per chiarirgli la differenza.
    Durante un dibattito alla Festa dell’Unità di Ravenna, nel settembre 2023, Bersani aveva commentato il libro di Vannacci, Il mondo al contrario, dicendo: “Quando leggi quelle robe lì pensi: ‘Va bene dai, sciogliamo l’esercito, sciogliamo le istituzioni e facciamo un grandissimo bar’. Il Bar Italia. Dove puoi dare dell’invertito a un omosessuale, della fattucchiera a una femminista, del negro a un nero, e dire a un ebreo ‘ok la Shoah, ma non esageriamo’. Quel bar lì non sarebbe mai vuoto in Italia. Ma scusate, se in quel bar lì lui può dire tutte queste cose, è possibile dare del coglione a un generale? Se parlano da bar, dobbiamo parlare da bar anche noi. Quella non è critica al politicamente corretto, è arretramento della civiltà”.
    Vannacci, insolitamente sensibile, decise di querelare. “La condanna non può essere accolta per insussistenza giuridica, e prima ancora linguistica”, scrive ora il giudice. Forse è il caso di un ripasso di italiano, oltre che di diritto.

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  • Fine del monologo De Luca? Il Pd si sottrae all’incantesimo
    2024/11/05
    Fine della telenovela di Vincenzo De Luca all’assalto per la terza volta della presidenza della Regione Campania. Il Partito democratico non lo sosterrà. “Il Pd - ha detto la segretaria Elly Schlein ospite di Fabio Fazio - ha una posizione chiarissima: siamo contrari al terzo mandato. Per noi vale la legge nazionale che prevede il limite a due mandati. Possono votare tutte le leggi regionali che vogliono ma il Pd non sosterrà presidenti uscenti per un terzo mandato”.
    Lui, De Luca, non ci sta. Del resto non starci è la caratteristica principale della sua carriera politica, apparire contro tutti - preferibilmente i “suoi” - è la cifra stilistica della sua durezza. Diciassette anni sindaco di Salerno, presidente della Regione dal 2015, deputato dal 2001 al 2008, sottosegretario ai Trasporti nel 2013: per De Luca la Campania è un feudo che non dovrebbe essere contendibile per nessuno del suo partito. Roba sua, insomma.
    La segretaria Elly Schlein trattata con paternalismo è solo l’ultima vittima dell’egomania deluchiana. Il 13 maggio del 2010 durante un dibattito con un compagno di partito si disse pronto a far "vivere in maniera autonoma l'esperienza politica di Campania Libera" e a lasciare il Partito Democratico. Al tempo risero in molti per l’irruente simpatia di De Luca. Quattordici anni dopo il ritornello della Campania Libera da lasciare vivere “in maniera autonoma” è sempre in voga ma non fa più ridere nessuno.
    “Il gruppo dirigente del partito è talmente logoro che, se anche dicesse qualcosa di chiaro, nessuno lo ascolterebbe”, disse del Pd De Luca 14 anni fa. Oggi la retorica è la stessa ma è stato svelato l’obiettivo: fingere di voler cambiare per poter restare.

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  • Piracy Shield: quando la Serie A gioca a fare il Grande Fratello (e vince a tavolino)
    2024/11/04
    La farsa del Piracy Shield è l'ennesima dimostrazione di come il matrimonio tra calcio e politica in Italia continui a generare mostri. Questa volta il parto ha prodotto una piattaforma che, con la scusa di combattere la pirateria, si arroga il diritto di oscurare siti web senza alcun vaglio giudiziario. Un piccolo dettaglio costituzionale che evidentemente è sfuggito ai nostri legislatori, troppo occupati a compiacere i desiderata della Serie A.

    La genesi di questo pasticcio all'italiana ha del surreale: una piattaforma commissionata dalla Lega Calcio ancora prima che esistesse la legge per utilizzarla, sviluppata dallo studio legale dell'ex avvocato di Berlusconi, "regalata" all'AgCom che però deve pagarne la manutenzione con soldi pubblici. Il tutto benedetto in Parlamento da Claudio Lotito, contemporaneamente senatore di Forza Italia e patron della Lazio. Un capolavoro di conflitto d'interessi che neanche ai tempi d'oro di Berlusconi.

    Il risultato? Google Drive bloccato mentre si giocava Juventus-Lazio, con buona pace di chi doveva accedere ai propri documenti. Ma tranquilli, il governo ha già trovato la soluzione: una nuova legge che allarga le maglie dei blocchi invece di restringerle. D'altronde, quando hai due senatori come Lotito e Galliani a fare da pontieri tra il pallone e Palazzo Chigi, tutto diventa possibile, persino calpestare i diritti digitali dei cittadini in nome della lotta al "pezzotto".

    È la solita storia italiana: problemi complessi affrontati con soluzioni semplicistiche e dannose, partorite in stanze dove gli interessi privati si mescolano indisturbati con quelli pubblici.

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  • Patria e profitto: l'italianità a targhe alterne di John Elkann
    2024/10/31
    Forte, John Elkann. Da generazioni, la sua famiglia si propone come esempio di capitani d'industria e simbolo dell'italianità esportata nel mondo. Qualche tempo fa, avevano persino pensato di mettere una bandierina italiana ben visibile sulla fiancata di una delle loro vetture. Peccato che di italiano non ci fosse niente, e sono stati costretti a rimuoverle una a una.
    Forte, John Elkann. Ha ereditato il talento di famiglia: quando le cose vanno bene, è merito suo, colui che dà lustro all'Italia e ci onora con la sua italianità. Ma, di fronte ai risultati fallimentari, la colpa è dell'Italia brutta, dell'Italia sporca, della politica tutta cattiva.
    Così, quando il Parlamento l’ha convocato nei giorni scorsi per un’audizione, lui, con la sua proverbiale eleganza, ha rifiutato con la stessa leggerezza con cui si potrebbe saltare un appuntamento per il tè delle cinque. In veste di presidente di Stellantis, ha comunicato al presidente della Commissione Attività Produttive della Camera, Alberto Luigi Gusmeroli, di non avere nient’altro da aggiungere rispetto a quanto già espresso dal suo amministratore delegato, Carlos Tavares.
    Elkann ha comunque fatto sapere di essere disposto a continuare il dialogo con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy “nell’ambito del tavolo di confronto istituito presso il dicastero, in attesa della convocazione ufficiale presso la Presidenza del Consiglio.” Evidentemente, lì il caffè deve essere molto migliore e le poltrone molto più comode.
    Elkann passa con incredibile velocità dall’essere il testimonial italiano nel mondo a un cittadino qualunque senza nulla da dire. Gli va però riconosciuto un enorme merito: negli ultimi due anni, è stato l’unico a mettere d’accordo maggioranza, opposizione e il cosiddetto terzo polo per il suo comportamento inaccettabile.

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  • La democrazia bastonata: storia di Tahla, che credeva nell'articolo 1
    2024/10/30
    Si chiama Tahla, ha 22 anni, e la sua colpa è stata quella di bussare alla porta di un sindacato. Nel 2024, nel cuore della Toscana felix, nell'Italia che si vanta di essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, un ragazzo viene pestato a bastonate per aver osato alzare la testa. Non fa rumore, non diventa una storia nazionale, non merita i titoloni dei giornali perché siamo assuefatti alla barbarie.

    Quarrata, provincia di Prato. Turni di 12-14 ore, lavoro nero, caporalato: fotografia di una modernità che si misura in fatturato ma non in diritti. Tahla viene convocato dopo aver parlato con il sindacato Sudd Cobas: "Sappiamo che sei stato al sindacato", gli dicono. Poi partono i bastoni.

    È la stessa zona dove appena due settimane fa altri quattro lavoratori sono stati vittime di una spedizione punitiva durante un picchetto. Non sono coincidenze: è un sistema che si nutre di paura e omertà, che prospera nell'indifferenza generale e nella retorica del "piccolo è bello" che spesso nasconde il marcio.

    La prognosi dice sette giorni, ma la ferita è molto più profonda: è uno sfregio alla Costituzione, è il fallimento di uno Stato che non riesce a proteggere chi lavora, è la vergogna di un Paese che si scopre ancora medievale nei rapporti di lavoro mentre si vanta di correre verso il futuro.

    Tahla è pakistano, e anche questo non è un dettaglio: lo sfruttamento sa bene dove colpire, sceglie le sue vittime tra chi ha meno voce, tra chi può essere più facilmente zittito. Noi intanto scivoliamo via, distratti, assuefatti, complici.

    In un Paese normale questa storia sarebbe uno scandalo nazionale. In Italia è solo cronaca locale. E questo, forse, è il vero scandalo.

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  • CO2 al massimo, credibilità dei leader al minimo
    2024/10/29
    Ripercorrete per un istante le promesse ascoltate negli ultimi anni sull'abbattimento della CO2. È il nuovo comandamento laico, declamato in ogni campagna elettorale, ripetuto da ogni governo, a ogni tavolo internazionale. Ci hanno garantito che avrebbero ridotto la CO2 e, naturalmente, che lo avrebbero fatto in fretta. Tutti, persino coloro che negano il cambiamento climatico, sussurrano ora che, in fondo, un’aria più pulita non potrebbe far poi così male.

    Ieri, però, l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite ha consegnato una realtà ben diversa: nel 2023 la concentrazione di CO2 ha raggiunto il record di 420 parti per milione, il 151% dei livelli pre-industriali. L'ultima volta che la Terra ha registrato simili concentrazioni, parliamo di 3-5 milioni di anni fa, la temperatura globale era di 2-3°C più alta e i mari si innalzavano di 10-20 metri.

    Possiamo affermare con certezza che, mentre i governi insistono sul loro impegno a ridurre i gas serra - come la CO2, principale responsabile del riscaldamento globale - i fatti ci raccontano una direzione opposta. Non si tratta di qualche ritardo nei risultati o di una situazione peggiore del previsto: siamo sull’esatto percorso inverso rispetto alle promesse fatte.

    Ora, impiegate questi ultimi secondi per valutare la credibilità di quelle promesse e, soprattutto, di chi continua a farle, senza mai cambiar strada.

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