エピソード

  • Se Dio era così, era un Dio socialista da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Giuseppe Antonio Bruno, detto Giuseppe ‘d Testa, nato a Demonte, frazione Cornaletto, classe 1892, contadino.

    Eravamo padre, madre, due fratelli e due sorelle: un altro fratello era morto quando aveva tre mesi, era morto forse di tubercolosi perché le stalle erano malsane.
    Nel 1919 sono tornato a casa, in congedo.
    C'erano le elezioni al comune, c'era la propaganda, c'era il comizio sulla piazza di Demonte.
    Mi pareva che il socialista parlasse meglio degli altri, perché cercava di aiutare il piccolo.
    Con pochi compagni ho fondato la sezione socialista.
    Alle elezioni il «socialista» è rimasto in minoranza perché il popolo non capiva, ma siamo riusciti gli eletti in quattro.
    I contadini avevano paura dei socialisti, dicevano che era l'anarchia.
    Avevamo i preti contro, i preti mentre dicevano messa facevano propaganda.
    Noi invece eravamo costretti a fare la propaganda di nascosto, passando ogni sera di casa in casa. I nostri nemici ci criticavano, dicevano di noi: «Si riuniscono a complottare. Sono pochi. Che cosa credono di combinare? Niente».
    Abbiamo cominciato in una ventina, e man mano che uscivamo con delle ragioni giuste il partito aumentava.
    Il prete dal pubblico diceva: «Ma voi socialisti credete o non credete che esiste Dio?»
    Noi non potevamo rispondergli perché rispettavamo la chiesa.
    Ma capivamo che il prete usava un modo prepotente di fare la propaganda politica.
    Noi eravamo cristiani, ma dicevamo: «La politica è una cosa e la religione è un'altra».
    Perché Dio è salito sul Monte Sinai, e ha detto al basso popolo: «Fuggite da lì, dove vi fanno lavorare sotto il bastone, dove vi fanno trascinare l'aratro; e poi loro mangiano il pane e voi mangiate solo miseria».
    Se Dio era così, era un Dio socialista, che voleva una società giusta, nuova, e non dei ricchi.
    Era un Dio che diceva: «Venite con me sulla montagna, che non sarete più sfruttati, che non sarete più schiacciati».
    Noi non eravamo contro la religione, noi dicevamo dei preti: «Ci credete voi in Dio? O fingete di crederci per dominare il basso popolo?»

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    14 分
  • Forse eravamo ottantamila i disertori da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Pietro Bruno, media valle Stura, classe 1896, contadino.

    La mia era una famiglia piccola, fame non ne ho mai fatta: vivevamo a castagne, polenta, e pane misto di grano e di segale.
    Poi è venuta la guerra, io ero negli alpini, battaglione Argentera.
    Scaricati a Cividale, abbiamo raggiunto a piedi Caporetto.
    Da Caporetto vedevamo che sul Monte Rosso era un fuoco solo, non capivamo come lassù potesse vivere della gente.
    Tra noi ci dicevamo: «Se andiamo su, moriremo tutti».
    Mah, la guerra è una brutta bestia!
    Durante gli assalti noi avevamo l'ordine di sparare fino a distanza ravvicinata.
    Poi dovevamo andare all'arma bianca e scannarci con le baionette.
    Ma prima di arrivare alla lotta corpo a corpo un po' scappavano loro e un po' scappavamo noi, eh ... Su Molte Fiore una notte siamo andati undici volte all'assalto, gli austriaci erano tutti ubriachi.
    Una volta mi hanno mandato con una corvée a fare la pulizia in una trincea.
    Era piena di morti, cento e più morti, una gamba qua e un braccio là.
    Abbiamo preso quei morti, li abbiamo buttati giù dal burrone.
    La guerra era queste cose qui.
    Poi è arrivato il disastro di Caporetto.
    Sono rimasto ferito a una gamba.
    Da Serpelizza, trascinandomi, ho raggiunto il Tagliamento.
    Ho visto saltare il ponte con sopra la popolazione, erano 400 i profughi, sono tutti morti.
    Gli austriaci erano a 200 metri.
    Un mio amico mi ha preso a spalle, e a nuoto mi ha portato sull'altra sponda.
    Poi finisce la guerra, viene l'amnistia, forse siamo 80.000 i disertori.
    Mi presento al console di Tolone, torno in Italia.
    Mi processano, mi condannano a due anni, poi mi assolvono.
    Mah! Sul Rumbon avevo visto fucilare due contadini che erano rientrati al reparto con ventiquattr’ore di ritardo.
    Il colonnello aveva schierato sei soldati, e i due poveretti erano lì a pochi passi.
    «Sparate», aveva ordinato il colonnello, ma il plotone di esecuzione aveva sparato all'aria.
    Allora il colonnello ne aveva presi altri sei: «Sparate o sparo io a voi».
    E avevano sparato!
    Se i comandi non facevano così ne sarebbero rimasti ben pochi al fronte.

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    9 分
  • I libri delle masche, i libri del potere da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Giuseppe Bruno detto Beppe ‘d Ciot, nato a Chiotti di Valloriate, classe 1893, contadino.

    Nelle nostre borgate c’erano tre giovani, uno era Pietro, il fratello di Malin, io l'ho conosciuto, era un giovane che aveva studiato, era un po' maestro.
    Una domenica questi tre giovani decidono di scendere a Valloriate a bere una volta e a fare una partita alle carte.
    Partono, bevono, giocano, poi uno di loro propone di andare in veglia in una casa dove ci sono delle ragazze.
    Ma Pietro rinuncia, e dice: «Io vado a coricarmi».
    Prende la strada in salita, s’incammina nel bosco verso casa.
    Arriva nel Vallone delle masche, un vallone che era sempre asciutto, e vede che il vallone è pieno d'acqua, e vede che dalla montagna rotolano giù delle grosse pietre.
    Eppure deve superarlo quel vallone.
    Si decide, lo attraversa, ma quando è sull'altra sponda si accorge che l'acqua non l'ha bagnato. Allora si mette urlare ben forte: «Stanotte l'avete combinata a me, ma domani notte la combino a voi. Me la pagherete cara».
    L'indomani mattina, era autunno, pioveva, Pietro si mette a segare della legna ben secca, prepara due grosse fascine, le sistema nello s-ciòu.
    Alla sera mangia cena, poi i suoi di casa vanno a vegliare in una stalla dai vicini, e Pietro resta solo.
    Si accende il fuoco, prende il libro, si mette a leggere, a leggere, mentre nel caminetto l'acqua bolle nel paiolo.
    Dopo un po' entra una donna e dice: «Buonasera».
    Poi ne entra un'altra, e un'altra ancora. Pietro non alza mai la testa, continua a leggere.
    «Chiudi il libro - implorano quelle donne -, per l'amor di Dio, chiudi il libro».
    Ma Pietro continua a leggere fino a quando lo s-ciòu non è ben pieno di masche.
    A questo punto Pietro parla a tutte quelle donne, dice: «Guardate, io vi perdono. Ma giurate che non farete mai del male né a me né alla mia discendenza, sennò vi farò passare tutte nell'acqua bollente».
    Le masche giurano, e lui finalmente chiude il libro.
    Pietro aveva tanti libri, e quando è morto i suoi fratelli che hanno aperto quei libri si sono ricevuti degli schiaffi in faccia senza capire da dove arrivavano.
    I libri di Pietro erano i libri delle masche, i libri del potere.

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    13 分
  • L'ho girata tutta la California, paese per paese da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Lorenzo Blua detto Lancin, nato a Desertetto di Valdieri, classe 1884, contadino.

    Qui una volta c'era niente, lavoro non ce n'era, la metà della gente non arrivava a farsi il pane, le famiglie al minimo erano di sei figli, certe ne avevano dieci dodici, possiamo parlare di miseria nel mangiare, non c'era un soldo di guadagno.
    La gente lavorava bene la terra, ma ci volevano le bestie che aiutassero, e quelle non c'erano.
    Nel 1908 sono partito per l'America del Nord, per l'Oklahoma, con un mio cognato che era appena tornato dall'Argentina.
    Non sognavo di fare fortuna, chiedevo solo di lavorare e guadagnare qualche soldo.
    Nel 1910 ho deciso di fare una gita attraverso gli Stati Uniti.
    Volevo vedere l'America.
    Sei mesi ho girato, la California l'ho girata tutta, paese per paese.
    Ah, grandemente bella, bella la campagna e buona la terra, la verdura cresceva talmente che si piegava, troppa potassa nella terra.
    Poco distante da San Francisco di California, a Santa Rosa, sono stato 15 giorni nell'hotel di un tirolese, lì scavavo a fare canali, c'erano tante piante di malva, ma giganti, c'erano delle piante di malva con due metri di radici.
    In questi sei mesi Io ho sempre marciato che ero un francese, non ho fatto riconoscere in nessun posto che ero un italiano, i francesi erano tanto rispettati, gli baciavano la mano al francese.in tanti stati l'italiano non lo volevano, perché l'italiano compra e vende il lavoro, negozia e poi cede ad altri, troppo camorrista ...
    I neri sono più bravi di noi italiani, ma gli americani li disprezzavano.
    Nelle miniere ce n'erano pochi americani a lavorare!
    Sono tornato a Desertetto nel 1921, a fare una gita, per vedere mio padre.
    Ma il 4 luglio hanno ratificato la legge che limitava l'immigrazione dall'Europa, e non sono più partito.
    Quasi tutti i miei risparmi dell'America, 7.000 dollari, li ho perduti con il Banco di Sconto che è fallito.

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    18 分
  • Eravamo come i colombi da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Giovanni Giraudo detto Gian ‘d Barca, nato a Valdieri, classe 1885, contadino.

    Parliamo degli anni attorno al 1900.
    Vivevo con la mia famiglia, padre, madre, tre sorelle e tre fratelli al ciabot ‘d Barca.
    Avevamo 12 giornate di terra, tre vacche, e due altre vacche le prendevamo "in guardia".
    Nel 1910, decido di andare in America, «Vado in America anche se sono piccolo di statura», mi sono detto.
    Nel 1930 siamo tornati dall’America, per sempre a Valdieri.
    Mia moglie diceva che pativa l’aria dell’America ma erano tutte storie, era più forte di un cannone.
    A dire la verità quando ero in America avevo un po’ in testa l’Italia, la nostalgia.
    Eravamo come i colombi che vogliono sempre tornare nel posto da dove sono partiti.

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    25 分
  • Eh, ce n'era gente di Valdieri in America da «Il mondo dei vinti» di Nuto Revelli
    2024/11/14
    Il dialogo con la gente contadina di Revelli incomincia con la primavera del 1941.
    Testimonianze di cultura contadina, la pianura, la collina, la montagna, le Langhe: la fame, il lavoro infantile, l'immigrazione, la convivenza tra partigiani e nazi fascisti.
    E poi l'abbandono delle montagne, l'avvento di un nuovo mondo: l'industria, i grandi allevamenti, il turismo che figura il paesaggio, nei racconti dei 270 intervistati da Revelli.

    La Montagna: Testimonianze di vita contadina

    Giovanni Caranta detto Peru, nato a Desertetto di Valdieri, classe 1896, contadino.

    Qui a Tet ‘d Ciuina, in queste poche baracche, una volta vivevano 60 persone.
    Mio nonno aveva cinque fratelli, di cui uno si era fatto sette anni di guerra, la guerra del 1848, che tutte le notti davano l'allarme, gridava nel buio e poi è morto per causa di quella guerra.
    Quando sono nato io a Desertetto vivevano 750 persone sopra dei dodici anni, qui c'era il prete, 750 che pagavano due lire l'anno, la quota per mantenere il prete.
    Sotto i 12 anni ce n'erano tanti, la popolazione era sui 1.000 abitanti.
    Si mangiava patate.
    Il mio bisnonno è quello che ha scoperto le patate: ha visto attorno al forno delle piante strane, ne ha tirato fuori una patata, l’ha fatta cuocere e ha esclamato: «Uh che buona».
    Allora hanno cominciato a seminare le patate, questo avveniva duecento anni fa, le prime patate mangiate a Desertetto.
    Nel 1923, con mio cugino Alfonso Onorato, ho deciso di andare nel Nuovo Messico, dove viveva un mio zio fin dal 1894, aveva due piccole miniere.
    Là la vita era meglio, qui c'era una gran miseria, là c'era un tenore di vita.
    Arrivati a New York, a Castel Garda, un'isoletta dove passavano tutti gli emigranti del mondo, facevano la visita medica.
    Noi eravamo 1.800, e quaranta non erano in regola, hanno dovuto tornare in Italia.
    Poi abbiamo preso il treno migranti, ma là non facevano come qui da noi che mettono i viaggiatori come le acciughe in barile, là ce ne sarebbero ancora stati mille sul treno.
    Eravamo comodi, con un servizio specialistico di lusso, la compagnia Santa Fé passava pranzo e cena, c'era il "pacco viaggio" o il ristorante sul treno.
    Se speravamo di fare fortuna?
    Mah, uno ha tante idee, la speranza era di fare un po' di risorsa.

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    23 分
  • Ia Tappa: Da Reggio Calabria a Mileto da «Cicloturisti in Calabria» di Luigi Vittorio Bertarelli
    2024/11/11
    Due viaggi paralleli in bicicletta e due diari di viaggiAutori: il primo realizzato nella primavera del 1897, il secondo dal 17 al 21 giugno del 2006.
    Grande sportivo ed esperto viaggiatore, Bertarelli racconta la sua incredibile impresa: percorrere in bicicletta 500 km in soli 5 giorni, da Reggio Calabria ad Eboli, con l'intenzione di far conoscere la Calabria agli italiani.
    Dopo più di un secolo, Roberto Giannì, urbanista napoletano e appassionato cicloturista, letto il diario di Bertarelli e osservate le splendide planimetrie ciclistiche di quel viaggio, ripercorre e racconta lo stesso itinerario.

    Luigi Vittorio Bertarelli: Diario di un cicloturista di fine Ottocento - Da Reggio Calabria ad Eboli
    Ia Tappa: Da Reggio Calabria a Mileto

    - I primi venti chilometri
    - Il pesce spada
    - Scilla e Bagnara
    - Quadretti
    - Il Piano di Gioia e la malaria
    - Mileto
    - Conversazione seria

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    21 分
  • Conversazione seria - Ia Tappa: Da Reggio Calabria a Mileto da «Cicloturisti in Calabria» di Luigi Vittorio Bertarelli
    2024/11/11
    Due viaggi paralleli in bicicletta e due diari di viaggiAutori: il primo realizzato nella primavera del 1897, il secondo dal 17 al 21 giugno del 2006.
    Grande sportivo ed esperto viaggiatore, Bertarelli racconta la sua incredibile impresa: percorrere in bicicletta 500 km in soli 5 giorni, da Reggio Calabria ad Eboli, con l'intenzione di far conoscere la Calabria agli italiani.
    Dopo più di un secolo, Roberto Giannì, urbanista napoletano e appassionato cicloturista, letto il diario di Bertarelli e osservate le splendide planimetrie ciclistiche di quel viaggio, ripercorre e racconta lo stesso itinerario.

    Luigi Vittorio Bertarelli: Diario di un cicloturista di fine Ottocento - Da Reggio Calabria ad Eboli
    Ia Tappa: Da Reggio Calabria a Mileto

    Alla sera conversazione con l'ingegnere - che è in Calabria da quattro anni - col pretore e con qualche altro impiegato.
    Ecco il sunto delle loro chiacchiere: i proprietari se hanno un figlio ne fanno un avvocato; se ne hanno due uno è avvocato, l'altro medico; se tre l'ultimo è farmacista.
    Ne avessero dieci nessuno studia per essere agricoltore.

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    3 分